Stop ai falsi cibi italiani: scatta l’obbligo dello stabilimento in etichetta. Masiello (Coldiretti): ritorno alla trasparenza.

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Da oggi scatta l’obbligo di indicare nelle etichette degli alimenti sede ed indirizzo dello stabilimento di produzione o confezionamento, con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 145/2017. Si tratta – informa Coldiretti – della reintroduzione di una norma di trasparenza precedentemente abrogata in seguito al riordino della normativa europea in materia di etichettatura alimentare. L’obbligo consente di verificare se un alimento è stato prodotto o confezionato in Italia, una scelta che l’84% dei consumatori ritiene fondamentale conoscere (consultazione on line del Ministero delle Politiche Agricole).

“Il ritorno di questa norma – commenta Gennarino Masiello, vicepresidente nazionale di Coldiretti – conferma un percorso di trasparenza su cui la nostra organizzazione si sta battendo con l’iniziativa #stopcibofalso. Il punto di arrivo su cui invitiamo tutti a riflettere è un’etichetta ‘parlante’, una carta d’identità in grado di raccontare la storia che c’è dietro un prodotto alimentare. Oltre allo stabilimento di lavorazione Coldiretti chiede con forza l’estensione dell’obbligo di origine per tutti gli ingredienti utilizzati. In questo modo, se da una parte si consentirà un consumo consapevole e informato, dall’altra si apriranno scenari di grandi opportunità per il sistema economico, come già è stato per olio, latte, pasta e presto pomodoro. Accordi di filiera trasparente tra produttori agricoli e industria alimentare sono la vera sfida del nostro tempo. Il valore del cibo che mangiamo sta nel lavoro e nella cultura d’impresa che lo hanno prodotto. I consumatori già apprezzano e premiano questo approccio che guarda alla sostenibilità e alla salubrità”.

Con l’obbligo arrivano anche sanzioni, in caso di inadempimento, che vanno da 2.000 euro a 15.000 euro, per la mancata indicazione della sede dello stabilimento o se non è stato evidenziato quello effettivo nel caso l’impresa disponga di più stabilimenti. Se l’operatore del settore alimentare disponga di più stabilimenti, è consentito – spiega la Coldiretti – indicare tutti gli stabilimenti purché quello effettivo sia evidenziato mediante punzonatura o altro segno identificativo, mentre nel caso di prodotti non destinati al consumatore finale ma alla ristorazione collettiva (es. ristoranti, mense) o all’azienda che effettua un’altra fase di lavorazione, ci si può limitare a indicare la sede dello stabilimento solo sui documenti commerciali di accompagnamento.

Insieme allo stabilimento di lavorazione – sostiene la Coldiretti – va al più presto prevista l’indicazione obbligatoria in etichetta per tutti gli alimenti anche dell’origine degli ingredienti che è di gran lunga considerato l’elemento determinate per le scelte di acquisto dal 96% dei consumatori. Una battaglia per la trasparenza condotta dalla Coldiretti che ha portato molti risultati anche se – continua la Coldiretti – oltre 1/4 della spesa degli italiani è ancora anonima con l’etichetta che non indica la provenienza degli alimenti, dai salumi ai succhi di frutta fino alla carne di coniglio. Due prosciutti su tre venduti oggi in Italia provengono da maiali allevati all’estero senza che questo venga evidenziato chiaramente in etichetta dove non è ancora obbligatorio indicare l’origine, come avviene anche per il fiume di 200 milioni di chili di succo di arancia straniero che valica le frontiere e finisce nelle bevande all’insaputa dei consumatori perché l’etichetta – sottolinea la Coldiretti – non lo dice.

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