Bus in scarpata, il giudice potrebbe chiedere una nuova ricostruzione, sarebbe la quarta.
Altre due udienze già fissate, si procede sempre più spediti nel processo sulla strage del bus dell’Acqualonga che, nel luglio 2013, è costata la vita a quaranta pellegrini. Dopo l’esame degli imputati e le eventuali dichiarazioni spontanee, dovrebbero infatti arrivare le requisitorie dei procuratori Rosario Cantelmo e Cecilia Annecchini che ha condotto le indagini col pm Adriano del Bene.
L’atto finale, prima della sentenza, di un procedimento che si è aperto nel settembre 2016: quindici gli imputati accusati a vario titolo di omicidio plurimo colposo, disastro colposo e falso in atto pubblico.
Eppure potrebbe esserci un nuovo colpo di scena. Se il giudice, Luigi Buono, decidesse di disporre una super-perizia per avere le idee più chiare sulla dinamica dell’incidente. Un’ipotesi che non si può scartare a priori, alla luce di quanto emerso negli ultimi mesi. Tre ricostruzioni differenti: quella della Procura, quella dei consulenti di Autostrade e quella affidata ai periti in un procedimento civile annesso. Consulenza, quest’ultima, che su richiesta dei pm è stata acquisita anche in sede penale.
Le tre ricostruzioni
Per i consulenti della Procura Alessandro Lima, Andrea Demozzi, Lorenzo Caramma e Vittorio Giavotto, “più della metà dei bulloni che assicuravano l’ancoraggio sulla carreggiata della barriera posta sul viadotto dell’A16 Napoli-Canosa è risultata corrosa dal tempo e dagli agenti atmosferici”. Il bus, secondo questa ricostruzione, si è schiantato con le barriere protettive, poi precipitate, a una velocità di circa 92 km/h, con un angolo non superiore ai 13 gradi.
Nella loro deposizione, i consulenti di Autostrade (fra i quali i professori Francesca La Torre, Lorenzo Domenichini, Marco Anghileri e Dario Vangi), hanno invece evidenziato come “Il fenomeno di corrosione degli ancoraggi delle barriere stradali, lungo il viadotto dell’Acqualonga, non fosse prevedibile”. E aggiunto che il mezzo avrebbe impattato le barriere a una velocità paragonabile ma un angolo maggiore rispetto a quello indicata nella relazione della Procura (92 km/h e 19°). Per la difesa i new-jersey scelti erano proporzionati al tratto di strada, l’incidente sarebbe stato causato “dalle condizioni del bus e all’imperizia del conducente”.
La terza ricostruzione è quella che proviene dal processo civile. A occuparsene il collegio peritale composto da Enrico De Rosa, Mariano Migliaccio, Mariano Pernetti, Dario Alvino e Salvatore Santoli. Per i consulenti, che hanno focalizzato l’attenzione sul ruolo svolto dal freno di stazionamento, la velocità del bus all’inizio del viadotto era di 67km/h con un margine di errore del 10% e quindi inferiore rispetto a quella calcolata dai consulenti della Procura e da quelli di Autostrade. Nella perizia viene evidenziato il presunto stato non ottimale delle barriere.
I tempi potrebbero allungarsi
Ricostruzioni differenti, a partire dalla velocità del bus al momento dell’impatto, che potrebbero perciò spingere il giudice ad affidarsi a un super-perito. Una scelta che potrebbe offrire ulteriori elementi al magistrato, ma inevitabilmente dilatare i tempi del processo: non se lo augurano i familiari delle vittime provati da questi anni d’attesa. Nell’ultima udienza l’atmosfera era elettrica: alla fine del processo è stato inseguito il titolare del bus, Gennaro Lametta, uscito dal tribunale sotto scorta