La mia esperienza di insegnante di yoga alle detenute del carcere di Bellizzi

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di Monica Basso (Prema Dharma Yoga Solofra)

Da tempo si è riconosciuto il potenziale dello yoga nell’attivare e far fiorire le capacità nascoste dell’essere umano. Esplorando gli aspetti più profondi di me stessa, ho acquisito maggior consapevolezza e mi sono liberata dalle vecchie dinamiche.

Nel 2001, il mio percorso nello yoga ha avuto inizio in un periodo di sfida legato alla malattia. Da allora, lo yoga è diventato una luce di speranza che, col trascorrere del tempo, si è trasformata in una certezza, guidandomi gradualmente verso la guarigione. Dopo anni di pratica individuale, ho sentito l’impellente bisogno e il profondo desiderio di condividere questa esperienza con gli altri. Così, ho intrapreso il cammino dell’insegnamento. Ho completato la mia formazione presso la scuola Y.A.Y.S. a Salerno, conseguendo un diploma quadriennale nel master yoga. Ho avuto la preziosa opportunità di condividere la pratica dello yoga con diverse persone, coinvolgendo una vasta gamma di contesti come l’autismo, la terza età, le persone con disabilità, le gestanti, l’infanzia, l’oncologia (AMDOS), la psichiatria e individui di tutte le fasce d’età. L’insegnamento mi ha donato un profondo apprendimento, grazie alle esperienze di coloro che hanno partecipato.

Di recente, ho conseguito l’abilitazione all’insegnamento dello yoga in contesto carcerario tramite l’Accademia Internazionale di Formazione Asia Dharshana con riconoscimento Onu. Questa opportunità mi ha condotto a facilitare sessioni di yoga in forma volontaria per le persone detenute presso il carcere di Bellizzi Irpino.

L’ambiente carcerario rappresenta una sfida complessa, suscitando spesso una profonda disconnessione e alienazione tra le persone detenute e il loro mondo emotivo. L’integrazione dello yoga in questo contesto si basa sulla comprensione del potenziale terapeutico delle pratiche yogiche. L’arte del rilassamento, la meditazione, gli āsana (posizioni fisiche) e il controllo del respiro, quando insegnati con sensibilità, diventano strumenti preziosi per aiutare le persone detenute a gestire ansia, rabbia e altre emozioni, favorendo un ambiente di maggiore serenità. Molte persone in detenzione hanno attraversato esperienze traumatiche nel corso delle loro vite, e l’ambiente carcerario stesso può contribuire a generare ulteriori traumi. Lo yoga offre un sentiero per affrontare tali traumi in modo sostenibile, consentendo alle persone detenute di rilasciare le tensioni accumulate e di intraprendere un percorso di guarigione interiore.

Il primo giorno di lezione, provai una miscela di emozioni: timore, incertezza, e curiosità. Il controllo all’ingresso del carcere si dimostrò rigido e ufficiale. Il personale di sicurezza valutò attentamente i miei documenti, prese in custodia il cellulare e mi guidò attraverso il metal detector. La sicurezza era una priorità indiscussa, e mi resi conto dell’importanza cruciale di seguire scrupolosamente il protocollo. Dopo aver superato le procedure di controllo, fui accompagnata attraverso una porta blindata che si apriva su un cortile. Ogni passo che compivo mi faceva immergere sempre più profondamente nell’atmosfera del carcere. La presenza di telecamere e le pareti spesse sembravano racchiudere un mondo a parte, lontano dal resto della società. Le sessioni si svolsero in uno spazio che precedentemente era destinato ai bambini delle madri detenute.

Per un periodo di tre mesi, abbiamo riservato due ore ogni settimana per esplorare il potenziale del respiro come strumento di autoregolazione, ovvero la capacità di mitigare le emozioni mentre si manifestano. Abbiamo dedicato tempo all’esplorazione degli āsana (posizioni) e della meditazione al fine di coltivare l’auto-osservazione. Nel corso delle sessioni, le espressioni sui volti dei partecipanti sono passate da scetticismo a apertura e curiosità. Durante le pratiche yogiche, alcuni partecipanti hanno condiviso le proprie storie o posto interrogativi relativi agli insegnamenti dello yoga, ai concetti coinvolti e agli aspetti etici e morali.

Al termine dell’ultima lezione, sono stati consegnati gli attestati di partecipazione al corso di yoga. Di seguito riporto alcuni dei commenti che hanno condiviso nel questionario conclusivo del corso:

“La pratica dello yoga mi ha guidato verso una riconciliazione con me stesso e con il mondo. Grazie alle lezioni di Monica, sto imparando l’arte del respiro e la gestione delle emozioni, ciò mi aiuta a affrontare le giornate più difficili e intense emotivamente.”

“L’incontro settimanale con Monica rappresenta un’occasione di evasione dalla complessità della vita quotidiana. Spero davvero che questa esperienza possa ripetersi in futuro, poiché ci ha beneficiato in tutti i modi possibili, sia fisicamente che psicologicamente.”

“Da sempre ho nutrito una passione per la spiritualità e il contatto umano, ed è per questo che lo yoga è stata un’esperienza estremamente positiva per me.”

“Attraverso lo yoga, ho sentito emergere la mia spiritualità più intima e ho ottenuto un benessere psicofisico che non avevo mai sperimentato prima.”

Per un periodo di tre mesi, abbiamo riservato due ore ogni settimana per esplorare il potenziale del respiro come strumento di autoregolazione, ovvero la capacità di mitigare le emozioni mentre si manifestano. Abbiamo dedicato tempo all’esplorazione degli āsana (posizioni) e della meditazione al fine di coltivare l’auto-osservazione. Nel corso delle sessioni, le espressioni sui volti dei partecipanti sono passate da scetticismo a apertura e curiosità. Durante le pratiche yogiche, alcuni partecipanti hanno condiviso le proprie storie o posto interrogativi relativi agli insegnamenti dello yoga, ai concetti coinvolti e agli aspetti etici e morali.

Insegnare lo yoga in carcere è un’opportunità per trasmettere benefici significativi alle persone detenute. Di seguito una lista di consigli per chiunque voglia intraprendere questa esperienza:

  • Prima di insegnare lo yoga in carcere, dedicati a una ricerca approfondita per comprendere il contesto carcerario. Questa conoscenza ti aiuterà a rispettare le regole e le restrizioni della struttura.

  • Considera sempre le diverse capacità delle allieve e degli allievi presenti. Crea lezioni adattabili e inclusive, in modo che tutte le persone presenti possano partecipare e trarre beneficio dalla pratica.

  • Per creare un ambiente tranquillo e rilassante, puoi accompagnare la tua classe con musica o frequenze sonore adatte alla pratica dello yoga. Questo può aiutare gli/le partecipanti a concentrarsi e a connettersi con sé stessi.

  • Mostra empatia, comprensione, accoglienza per la diversità culturale e di religione. Non forzare mai una persona a praticare se in quel momento non si sente a proprio agio.

  • Sii aperto/a all’ascolto durante le lezioni. Le persone detenute potrebbero avere bisogno di condividere le proprie esperienze e preoccupazioni, e tu puoi essere una figura di supporto per loro.

  • Incoraggia l’autonomia nella pratica dello yoga. Aiuta le detenute e i detenuti a sviluppare una maggiore consapevolezza di sé stessi/e e delle loro capacità, in modo che possano portare la pratica anche al di fuori delle lezioni.

  • Affidati al tuo istinto e alla tua sensibilità nell’insegnamento. Lasciati guidare dal cuore senza nessun giudizio e crea un ambiente di sostegno e crescita per i tuoi allievi e le tue allieve.

  • Non dimenticare di ringraziare i/le partecipanti per la fiducia che ripongono in te e per l’impegno che dedicano alla pratica. La gratitudine è una forma preziosa di riconoscimento.

Insegnare lo yoga in carcere richiede pazienza, empatia e comprensione. La dedizione dell’insegnante può contribuire a trasformare il loro percorso di reinserimento nella società e favorire il benessere fisico e mentale durante il tempo trascorso in prigione.

Ringrazio la dottoressa Marilena Capuzzimati, promotrice del progetto Yoga in Carcere, la direttrice del carcere di Bellizzi Irpino Concetta Felaco che ha permesso la realizzazione del progetto, la dottoressa Maria Cristina Tedeschi, mediatrice culturale e guida nel progetto. Ringrazio profondamente le detenute e i detenuti per la loro fiducia. NAMASTÉ!

 

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