Chi ha letto la recensione di Roberto Galaverni su “La Lettura/Corriere della sera” di domenica 26 giugno 2016 sul libro di poesie di Gian Mario Villalta, Telepatia (LitoColle, 2016), di sicuro si sarà fatta una determinata idea del libro. Ma è l’idea giusta?
Già il titolo dell’articolo di per sé è devastante: Niente ci può salvare. Figuriamoci i versi. Per poi leggere:
“ Si tratta del libro più crudo e più duro che questo poeta abbia scritto. E del più antiletterario, anche, perché in questi componimenti che alle risorse della poesia attingono comunque senza timore, la letteratura non costituisce in alcun modo un’alternativa alla vita, una possibilità di sublimazione o di redenzione, anche soltanto conoscitiva. La poesia, insomma, non salva nulla e nessuno, a cominciare dell’autore.”
Sono punti di vista e come tali bisogna accettarli. D’altronde si sa che la poesia la scrive il poeta ma poi finisce per appartenere ai lettori che ci vedono quello che la loro sensibilità permette di vedere.
Ma siamo così sicuri che Telepatia sia un libro antiletterario? Siamo così sicuri che la letteratura nella vita per Villalta non venga prima di tutto?
Le risposte potrebbero essere tante ma perfettamente inutili. Questo libro bisogna leggerlo per avere la propria personale risposta. Quello che possiamo offrirvi qui è solo un assaggio poetico, per farvi un’idea e per stimolare l’appetito:
“Che ha un cattivo odore/ la vita, non lo diresti, / fino a quando non senti/ la puzza di niente/ che tutto sovrasta, anche i corpi che accalcano/ attaccaticci il bancone,/ a fine domenica.// ( Viene dalle sue vene, dalle vene d’Europa/ il fetore. le vedi, le valvole, i ventricoli che riversano/ liquame nel puteus della fantafinanza – / ma altra opera è il cuore, e diversa).”
LietoColle
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