Vallesaccarda sorge in quella che era l’antica Baronia di Vico, territorio che si estende intorno alla montagna di Trevico (1094 mt.), massiccio del subappennino campano ai confini della Puglia Dauna, che da secoli rappresenta un importante punto di riferimento geografico. La montagna è circondata dalle valli dell’Ufita, del Calaggio e del torrente Fiumarella. Tali valli hanno svolto per secoli un ruolo importante per i transiti e per il commercio lungo l’Appennino Meridionale. Naturali vie di comunicazione tra est ed ovest, hanno determinato lo sviluppo e l’importanza strategica della zona, oggetto di interesse da parte delle popolazioni barbare discendenti da Nord. Il torrente Fiumarella, pur rappresentando un confine naturale, non corrisponde tuttavia anche al confine amministrativo della Baronia, poiché i Comuni di S. Sossio Baronia e di Vallesaccarda estendono i loro territori fino agli altipiani di Montuccio e di Molara (zona detta della “Civita Superiore”). Storia ed architettura qui si fondono. Le ultime scoperte hanno infatti evidenziato come già dal V millennio A.C. vi erano insediamenti umani nelle valli dell’Ufita, della Fiumarella e del Calaggio. Lo studio e la catalogazione dei ritrovamenti archeologici, la storia e le tradizioni tramandate dalle genti che scelsero di fermarsi e dimorarvi, la toponomastica, l’intreccio di dialetti e refusi linguistici, la forma dei centri abitati e delle borgate, la posizione delle fontane e delle masserie, ripercorrono la Storia d’Italia ed in particolare quella che si è riflessa sulla Baronia. Data la sua posizione geografica, la Baronia rappresenta una cerniera di collegamento tra mari e monti, a metà strada tra le sponde del Tirreno e dell’Adriatico. Percorrendo l’autostrada Napoli-Bari, che scorre nelle valli della Fiumarella e del Calaggio, uscendo a Vallata si aprono le porte di quell’insieme di piccoli borghi costituito dai comuni di Vallesaccarda, Trevico, Scampitella, Vallata, Carife, Castel Baronia, San Nicola Baronia, San Sossio Baronia e Flumeri, ovvero il territorio della Baronia di Vico.
AMBIENTE E NATURA
Vallesaccarda localizzata in uno dei territori più suggestivi dell’Irpinia, si erige in una felice posizione panoramica, tra montagne di incomparabile bellezza, il torrente Fiumarella, affluente di destra dell’Ufita, verdeggianti colline che si allungano verso l’Adriatico ed aree rurali che, oltre a produrre frutta e cereali, hanno visto l’affermarsi di numerose attività di agriturismo e ristorazione grazie alla genuinità della cucina locale.
L’area comprende una parte della superficie comunale inclusa nella ZPS (Zona di Protezione Speciale) “Boschi e sorgenti della Baronia”, che include l’intero tratto del Torrente Fiumarella ed i boschi, in gran parte costituiti da caducifoglie (Cerro, Roverella, Frassino, Ornello, Acero, Carpino nero) e in piccola parte da conifere alloctone con prevalenza di Cipressi e Pini (Pino nero, Pino domestico). Il paesaggio è caratterizzato da dolci declivi, risultato della levigature delle epoche glaciali di un terreno prevalentemente argilloso.
Elementi di notevole pregio naturalistico appartenenti sia alla flora che alla fauna mediterranea sono tutt’oggi visibili ed apprezzabili, difesi e tutelati da un’intensa attività di ingegneria naturalistica orientata da una parte a mitigare il rischio idrogeologico e dall’altra alla creazione di strutture, quali suggestivi sentieri pedonali e ciclabili, per aumentare le fruizione eco turistica della comunità e dei visitatori. Il verde e le acque caratterizzano Vallesaccarda, tante sono le sorgenti sul territorio: Serra D’Annunzio, Cotugno, Menichella, Lapillo, S. Antonio, tutte in muratura e fornite di abbeveratoio.
In località Mattine si staglia un bosco di cipressi, pini, aceri e frassini popolato da volpi, lepri, quaglie, tortore ed allodole. Un altro piccolo bosco di conifere può essere visitato in località Turdumiere: è possibile avvistare lepri, quaglie ed allodole.
L’architettura di Vallesaccarda è stata condizionata dai 3 terremoti del 1930, 1962 e 1980. Ad ogni sisma le genti del luogo raramente ricostruivano sulle macerie; spesso si spostavano in luoghi più sicuri con nuove costruzioni.
Nel settecento Vallesaccarda si raccoglieva intorno alla piccola chiesa dedicata all’Immacolata. Situata lungo l’antico tratturo Trevico-Vallesaccarda-Anzano, intorno al suo campanile erano soliti radunarsi i tanti pellegrini che percorrevano nei vari momenti dell’anno la strada che da Trevico va ad Anzano, in un pellegrinaggio che fonde tradizioni cristiane a riti pagani tuttora sentiti.
Sicuramente il terremoto del 1930 determinò una grave perdita in materia architettonica per il piccolo borgo di Vallesaccarda, ma finalmente grazie alla rotabile San Sossio-Vallata uscì dal suo isolamento. Il 1962 determina invece un grande sviluppo urbanistico, che ha ripreso ad alimentarsi nel 1980, a discapito purtroppo delle poche tipicità architettoniche presenti. Negli ultimi anni, grazie alle tante persone ed associazioni attive sul territorio, si stanno riscoprendo molti aspetti del passato, della storia, delle tradizioni e dei costumi, sintomo di vivacità e fermento culturale.
GASTRONOMIA
Anche l’alimentazione locale ha risentito della difficile conformazione geografica del territorio. Mentre la vicina Napoli godeva di un clima mite e temperato, l’ispida Irpinia, alta mediamente tra i sette ottocento metri, era spesso sommersa dalla neve. La gastronomia antica locale è costituita da una serie notevole di piatti, soprattutto i primi. Le basi, ovviamente, sono quelle della civiltà povera contadina: poco spazio per la carne, sostituita per le proteine con i legumi, verdure e farinacee. D’inverno, con le forti nevicate l’unica verdura disponibile era la verza.
La minestra maritata irpina, infatti, differisce da quella napoletana per le minori verdure presenti e per la quasi di carni differenziate. Venivano infatti utilizzate quasi esclusivamente le parti vili del maiale (piedi, orecchie, muso, guanciale), conservate sotto sale. La minestra maritata era accompagnata dalla “pizza di granturco” cotta in un recipiente di terracotta (“chiy’ngh”) posato su un letto di brace e coperto da un coperchio, anch’esso di terracotta ed anch’esso ricoperto di brace, in modo da formare un piccolo forno. Con la primavera altre verdure spontanee arricchivano le tavole locali: cicoria, scarola, borragine, sivoni, le “lass’n”, “li mustazz’ r’ crapa” costituivano la “Minestra”.
Ma quando seccava il grano, seccavano pure tutte le verdure “acchiatizze”, ed i contadini tiravano a campare con i “talli di cocozza” (zucca) fino a tutto settembre.
Ma sono i legumi che hanno da sempre caratterizzato i piatti della tradizione irpina. Cucinati in vari modi, a zuppa, con le “lagane”, con la pasta a tubetti, misti alle verdure, i legumi venivano mangiati freschi da maggio a luglio, secchi durante tutto il resto dell’anno, messi a bagno nell’acqua la sera precedente.
La pasta era quella fatta in casa: le famiglie la preparavano in casa con la spianatoia (“lu tumpagn”) e il matterello (“lu lah’natur'”). Solo il giorno delle nozze, per solennizzare l’avvenimento, si faceva eccezione e mangiavano la pasta comprata, cioè “li ziti” al ragù.
La pasta più comune erano i cavatelli, mentre nei giorni di festa si facevano le orecchiette, i fusilli, i laccetti, le “capisciole”, le “vash’nell”, i rombi (le “tacculecchie”), le nocchette, spesso conditi col sugo di pomodoro. Raramente, col ragù, abbinato, a seconda del tipo di carne: il coniglio si abbinava ai “tr’hill”, l’agnello ai fusilli, il maiale ai laccettini, il pollo con le orecchiette, mentre il vitello veniva allevato solo per essere venduto.
Conoscere Vallesaccarda vuol dire anche assaggiare ed assaporare i prodotti locali e i piatti tipici della cucina irpina.
Ottimi i salumi, genuini e gustosissimi, preparati nei periodi invernali secondo le antiche tradizioni ed essiccati in casa: salsicce, cotechini, soppressate, capicolli e prosciutti.
Anche i latticini fanno parte del patrimonio gastronomico locale, con la produzione di caciocavalli e formaggi vari.
Ma fra tutti vanno ricordati almeno due piatti tipici, che appartengono quasi solamente a Vallesaccarda: i “frivoli” e i “trih’ll” con le noci.
I frivoli sono i grumi formati spruzzando con uno scopino di saggina la farina di grano messi a cuocere in brodo fatto con la “racciata” (battuto) di lardo con prezzemolo e scorzette di formaggio. I trilli con le noci, invece, nascono come sempre dalle esigenze dei poveri, costretti a centellinare l’olio d’oliva, troppo prezioso per un consumo quotidiano e spesso tenuto sotto chiave. In sostituzione del condimento venivano utilizzate appunto le noci, perché oleose.
I dolci erano praticamente banditi delle tavole locali, ma a Natale non mancavano mai le zeppole con il miele, i “susamielli”, gli “sfringi” e i “panzarotti” con le castagne.
Un quadro, quello della tradizione irpina e di Vallesaccarda, che unisce sapori cultura e tradizioni attraverso una grande attenzione alla cucina del territorio, fedelmente tramandata e a volte rivisitata con estro e creatività.
Fonte: www.vallesaccardaecogastronomica.it